Roma – E’ sera. la Tv mi rimanda addosso l’immagine di un’Italia in cui finalmente mi riconosco: quella descritta da Roberto Saviano a ‘Vieni via con me‘.
Riconosco una Tv che mi parla della miseria costante e sempre più evidente negli ultimi tempi, così facilmente riconoscibile e sotto gli occhi di tutti in questo Paese e che finalmente non mi sembra più un ‘affare privato’ il dolore che provo ogni volta che guardo e vivo quello che succede.
Nel pieno della mia costante overdose tecnologica/mediatica, intanto seguo su FB gli amici che postano spezzoni di trasmissione, elenchi falciati, commenti a sostegno e indignate reazioni, queste ultime, per me, solo frutto del continuo rigetto della verità. …
E dalla Rete mi arriva dritto al cuore il post di qualcuno che annuncia la morte di Mario Monicelli. Poi il post di qualcun altro, a ritmo serrato, dopo nemmeno un secondo, che dà il link ad un primo sito in cui laconicamente è passato il take di agenzia sul suicidio.
E’ un attimo, appunto, questione di frazioni di click per andare avanti e indietro e sentirmi ferita, meravigliata, colpita, agghiacciata e completamente stravolta dall’idea che un vecchio signore di 95 anni, specchio dell’Italia che avrei voluto, ha compiuto il suo ultimo atto.
Ora quale sia il vero senso della morte di Monicelli nessuno si dovrebbe arrogare il diritto di dirlo, scriverlo.
La vita è una questione privata, la morte è solo parte di essa e come tale ha le sue stesse caratteristiche. Il suicidio, di per sè, è un atto che solo chi lo compie, dal mio punto di vista, può spiegare perché lo fa. Ma chi lo fa e ci riesce non ha la possibilità, ex post, di venircelo a raccontare.
Tutto quello che so è qual è il senso che a questo suicidio voglio dare io, pensando a quello che mi ha dato e raccontato un’anima ribelle che a lungo ha soggiornato in questo postaccio chiamato mondo, nello specifico nel Belpaese in cui pensare che tutto “E cosa’ e nient’“, come ricordava lo stesso Roberto Saviano citando Eduardo De Filippo, è la regola di vita.
Penso che le sue parole, di pochi mesi fa (“Rai per una notte”, 25 marzo 2010), in cui chiamava i giovani a fare una rivoluzione, solo ora possono prendere vita. Solo ora che, come quando ‘siamo’ usciti dal ventennio fascista, un livello tale di indignazione e sdegno non può più permetterci di stare fermi e subire.
Quello che è importante, in questo momento, sebbene lui abbia deciso di non aspettare oltre e di andare via, è di ascoltare il messaggio di un lucido novantenne, molto più lucido di me e dei miei coetani, di quella generazione di attuali ventenni posteriore alla mia che vuole però le stesse cose di sempre da quindici/vent’anni a questa parte: dignità e diritti.
Mario Monicelli ha parlato per noi, per tutti noi, fino a 95 anni e penso che, come minimo, gli dobbiamo almeno il rispetto che si deve piuttosto che cercare un perché se ne sia voluto andare via così.
Eppure mi rimane una rabbia che tengo a bada, al confine del cuore, perché mi sarebbe piaciuto che quest’uomo vedesse un’altra Italia, vedesse insieme a noi l’alba di un nuovo corso.
Forse mi sono illusa, negli ultimi tempi, guardando molti finalmente vedere che il re è nudo da tempo, che anche colui il quale era stato tra i primi ad aver indicato il premier senza mutande potesse arrivare, prima della morte, a osservare come crolla un altro, l’ennesimo, regime.
Mario Monicelli a ‘Rai per una notte’:
‘Non lo so. Spero che finisca in una bella rivoluzione… Che non c’è mai stata in Italia … Ci vuole qualche cosa che riscatti veramente questo popolo che è stato sottoposto … Se vuole riscattarsi il riscatto non è una cosa semplice, è doloroso’.